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Caporale Giuseppe Viano ragazzo del '99 chiamato alle armi nel 1917

z126 Information No 1 Ho rielaborato il testo originale in quanto carico di errori e con una sintassi difficile da comprendere per un lettore che non sia pratico di cose militari e dei luoghi che il manoscritto descrive e racconta.
L'autore, Viano Giuseppe si lamenta infine di non essere creduto in Australia dove viveva, ma a parte pochissime inesattezze sia gli avvenimenti le date, le località coincidono con i fatti accaduti nel Grappa e nel Piave. Ritengo quindi che questo documento sia fortemente attendibile. Sia nella descrizione della vita dei soldati con i continui avvicendamenti in prima linea sia nel racconto sulla battaglia del Solstizio a cui ha partecipato in prima linea e sia sulla battaglia offensiva sul Piave con la rincorsa sulle truppe austriache in ritirata.
Trovo particolarmente interessante il posizionamento sul fiume Drava, non ero al corrente che gli Italiani si fossero spinti così in profondità in territorio Balcano subito all'indomani dell'armistizio. I Balcani facevano inizialmente parte dell'accordo con gli Inglesi ed i Francesi per l'entrata in guerra dell'Italia, ma non ero al corrente che reparti Italiani si fossero spinti fino ai confini con la Serbia subito dopo l'armistizio. In effetti pensandoci bene la storia potrebbe essere plausibile in quanto poi gli Italiani ruppero i negoziati di pace proprio perché non si volle mantenere la parola data e quindi vedi il ritiro del reparto nuovamente a Gorizia.
Per rendere il racconto più piacevole l'ho in parte modificato mantenendo integro tutto l'impianto descrittivo e cercando di ampliare ed evidenziare i sentimenti personali dei protagonisti soprattutto nelle concitate fasi dei combattimenti.
Carlo Grigolon

 

Ingham 23-2-1972


Army GViano  Friend Eccoci qua oggi è una giornata piovosa e cosa c'è di meglio di ricordare fatti che oramai sono lontani nel tempo ma che sento sempre vivi nella mia memoria. Buona parte della mia vita è passata e sento l'esigenza di scrivere quanto ho vissuto durante la grande guerra affinché queste memorie rimangano quale testimonianza viva e vissuta.
Queste le mie memorie della vita militare che non ho mai dimenticato. Siamo nel 1917, Pasquale e Felice miei fratelli sono uno prigioniero e l'altro nei carabinieri. Potete quindi immaginare quale fosse il morale della famiglia e il mio stato d'animo nell'attesa della mia sicura chiamata alle armi. Arriva il giorno fatidico e la mia destinazione è a Santo Stefano di Mondovì. A Mondovì ci troviamo in 105 reclute e veniamo destinate 100 in fanteria 2 in artiglieria da montagna e 3 negli alpini. Io sono destinato al 53° fanteria a Vercelli.
Arrivato a Vercelli trovo una buona caserma accogliente e ordinata, la caserma però scoppiava eravamo in tantissimi oltre a noi della fanteria c'erano la cavallerie e anche l'artiglieria eravamo come le formiche, quanto uscivamo per le contrade di Mondovì erano talmente piene di soldati che quasi non si poteva camminare. A Mondovì sono stato per poche settimane, poi ci mandarono al campo a Sala Biellese lì abbiamo cominciato a comprendere cos'era veramente la vita militare. La disciplina era enormemente aumentata, ci facevano marciare quasi tutti i giorni carichi con zaino fucile e materiali, sembrava essere diventati quasi delle bestie da soma e non più dei cristiani. Alla sera eravamo sempre stanchi e andavamo a dormire sfiniti.
Come tutte le cose anche il campo a Sala Biellese finì e una volta tornati a Vercelli ci sentivamo diversi ci sentivamo di aver fatto un passo avanti e di essere diventati dei soldati. Dopo una settimana a Vercelli ci comunicano che la caserma era troppo piena e così decidono di mandare una compagnia in distaccamento a Torino Vercellese, la compagnia che distaccarono era proprio la mia e quindi mi trasferii con i miei compagni in questa nuova destinazione.
A Torino Vercellese ci si trovava bene era una piccola caserma, non c'erano tanti ufficiali da salutare ed avevamo una comoda sistemazione. Unico difetto di Torino V. era che eravamo dispersi in mezzo alle risaie e c'era solo riso e ancora riso da vedere, la vita era quindi molto noiosa in quanto ci si sentiva senza alcun scopo. In questa situazione si inizia a pensare alle cose tristi e la nostalgia ti assale. I pensieri cominciano ad essere pericolosi del tipo "sabato quasi quasi scappo a casa e vada come vada qualsiasi cosa capiti sempre meglio che rimanere qui a morire d'inedia". Questi pensieri erano nella mente di tutti e a parole si esprimevano e si progettavano fughe e quant'altro, soprattutto quelli che erano più vicini a casa e in poche settimane la prigione si riempì di fuggitivi che venivano presi alla stazione ferroviaria. La prigione non era propriamente una prigione in quanto era una stanza che utilizzavamo per la didattica e per necessità adattata a tale scopo, in ogni caso prigione era in quanto si era chiusi a chiave e non si poteva uscire.


Nonostante cercassi di non ascoltare i pensieri cattivi che affollavano la mia mente, finii anch'io in prigione accomunato ai miei compagni per gli stessi motivi. Eravamo chiusi e non si poteva uscire, ma da buoni camerati passavamo le giornate parlando e scherzando come se nulla fosse.
Tutto questo naturalmente un giorno dovette finire, arriva all'improvviso un ordine dal reggimento in cui si richiedevano 40 soldati per un'ignota destinazione. Il maggiore comandante del distaccamento si presenta da noi ridendo, sembrava avesse vinto la lotteria, fece aprire la prigione e poi ci fece chiamare tutti quanti, ci fece mettere in fila e beffardamente ci comunica "finalmente è giunto il momento di pulire questa compagnia da tutti i mascalzoni senza disciplina, di quelli che credono di fare quello che vogliono e si fanno beffe della disciplina. Ora è arrivato il vostro turno e se verrete assegnati ad incarichi gravosi e finite in brutti posti non vi compiangerò perché avrete quello che vi siete meritati e imparerete con il sacrificio a fare il vostro dovere, ora versate le armi e lei sergente con due soldati li accompagni a destinazione".
Giuseppe Viano Indietro 3 da destra Fece seguito un silenzio di tomba, dopo questo discorso nessuno aveva il coraggio di sorridere, gli occhi erano bassi e tutti noi avevamo paura della nostra futura destinazione, in ogni caso bisognava accettare e prendere quello che sarebbe successo con un fatalismo da buon soldato che oramai avevamo imparato ad accettare.
Salimmo in un trenino, un trenino piccolo a scartamento ridotto come quello che viene utilizzato qui per trasportare la canna e il riso. Si parte e in breve arriviamo a Vercelli alle ore 4 del pomeriggio in tempo per la libera uscita. Mentre camminavamo tutti assieme per trasferirsi dalla stazione alla caserma incrociamo un vecchio sergente che parlava con un altro sergente più o meno della stessa età e senza volerlo sento la loro discussione e capisco che stavano parlando di noi, questo quanto sono riuscito a sentire "... bisogna essere fortunati, ci sono persone che nascono fortunate, vedi questi soldati, vanno a lavorare in campagna in quanto hanno richiesto della manodopera urgente". Stentavo a credere quello che avevo sentito e non ne feci parola con i miei compagni in quanto ero quasi convinto fosse uno scherzo, ma sotto sotto ci speravo e quindi il mio umore era notevolmente migliorato.
Arriviamo in caserma, con i consueti modi soldateschi ci portano all'ultimo piano della costruzione e ci dicono "arrangiatevi e sistematevi come volete". Non c'erano brande e quindi ci siamo sistemati alla bene meglio, io mi sono sistemato per terra con lo zaino sotto la testa e così ho passato la notte con i miei compagni.
L'indomani sveglia una veloce tazza di caffè come colazione e tutti in adunata in fila in cortile. Arriva lo stesso sergente che avevo incrociato il giorno prima (non vi dico la mia attesa nella speranza che quello che avevo sentito il giorno prima fosse vero) ci passa in rassegna, ci chiede e si scrive i nostri nomi, seguivano il sergente degli aiutanti che ci davano tutte le divise nuove e il materiale di dotazione. Finita la consegna dei materiali che portammo nella nostra camerata, scendemmo nuovamente nel cortile nuovamente in fila e il sergente comincia a parlare: "Abbiamo bisogno di uomini per dei lavori urgenti da effettuare nei campi, e quindi cominciò a chiamare 10 uomini per Bandinara chi vuole andare chiedeva" e così via..... Arrivammo alla fine e ci chiamano io e altri tre tutti amici per Germano Vercellese ad imballare il fieno.
Ed eccoci qua passati dalla paura di essere assegnati al fronte alla contentezza di essere presso una famiglia di contadini, tutta brava gente ci davano il riso da mangiare, mangiavamo con loro e ci trattavano come figli. Eravamo orami negli ultimi mesi del 1917 e si sentivano brutte voci, i giornali parlavano di ritirata, si vedevano movimenti strani di truppe, non si capiva bene la situazione era tutto anche da parte dei giornali mal spiegato e le notizie erano con il contagocce. Unica certezza che faceva capire che le cose non stavano andando bene era l'intenso traffico di treni era continuo, treni che passavano uno dietro l'altro a brevissima distanza e che andavano verso est.
Qualche giorno dopo un maresciallo dei carabinieri ci viene ad ordinare di rientrare immediatamente a Vercelli. Partiamo immediatamente e arriviamo in breve a Vercelli, non credevo ai miei occhi, non c'era più neanche un soldato, tutti al fronte. Noi veniamo subito utilizzati e messi di guardia fissa alla caserma Umberto I (la caserma del "trombone") presso il ponte della Sesia. I turni erano continui e massacranti 2 ore di guardia e 4 di riposo. Ogni due settimane venivamo cambiati di posto e così passammo tutto l'inverno e ci ritenemmo fortunatissimi in quanto i nostri compagni al fronte soffrivano tutti i santi giorni e friggevano continuamente passando dalla padella alla brace.
Pensavo allora quale fortuna avevo avuto, così il tempo passava, la compagnia deposito di Vercelli cominciò a riempirsi di soldati, feriti, malati che non erano abili per il fronte, venivano tutti li così alla fine di febbraio eravamo oltre 300 persone. A questo punto non eravamo più di guardia fissa e continuata, il passeggio era diventata la nostra principale attività, la disciplina non esisteva, ufficiali non c'erano, comandava tutto il furiere. In caserma serpeggiava l'anarchia si faceva un po' quello che si voleva e si tirava avanti benissimo.
Arrivammo così fino al 20 marzo e il furiere ci consiglio in special modo a noi del '99 di andare a fare il corso mitraglieri fiat "il corso dura 4 settimane e così tirate avanti tutto tempo guadagnato, qui non resterete ancora molto con il bisogno di uomini che hanno al fronte, pensateci e venite in fureria a fare le carte". Così feci e seguendo il suo consiglio io e parecchi altri camerati della mia stessa età dopo averne a lungo parlato, andammo a Lodi.


A Lodi il corso fu intensissimo, teoria e pratica sulla mitraglia, monta, smonta e rimonta di notte di giorno, di continuo. Ci si esercitava al montaggio della mitraglia soprattutto di notte o al buio perché dovevamo essere in grado di intervenire e risolvere problemi di inceppamento nelle condizioni più avverse. Bisognava essere in grado di far funzionare la mitraglia soprattutto di notte in piena oscurità senza luce per evitare che il nemico ti veda. E così ci si allenava continuamente e intanto il tempo passava, arriviamo a meta aprile.
Mi ricordo ancora come fosse ieri quella mattina, arriva un sergente degli alpini e ci prende tutti 40 e partiamo per il fronte. Non sapevamo la nostra destinazione, capimmo di essere vicini al fronte quanto sentimmo le prime cannonate. Arriviamo a Crespano, sotto il Monte Grappa. Ci fermiamo presso il cancello di una casa, su una targa era scritto: 1563 mitraglieri fiat compagnia divisionale, ero arrivato quella era la mia nuova compagnia, ci fermammo in 8 gli altri furono assegnati ad altre compagnie.
La compagnia era appena scesa dal Grappa per il suo turno di riposo e così passammo un altro mese di intensa istruzione lontani dal fronte. A me fu dato l'incarico di "Porta Bidone" (sarebbe l'uomo che si adopera per il buon funzionamento della mitraglia) e Brambilla un lombardo che abitava vicino a Milano come porta treppiede.
Noi serventi e i mitraglieri avevamo in dotazione una rivoltella al posto del fucile, in quanto dovevamo portare a pezzi l'arma principale e quindi eravamo gravati di un notevole carico. Il tempo passava si rimaneva a riposo per un mese, un giorno andai dal comandante della compagnia e gli chiesi se mi mandava in licenza per qualche giorno considerato il fatto che non ne avevo mai avute da quanto fui chiamato in servizio oltre un anno prima. Lui molto gentilmente mi chiese se ero mai stato al fronte ed io risposi di no. Continuando sempre in modo molto gentile mi rispose che non poteva mandarmi in licenza se non ero mai stato al fronte e mi promise di inviarmi nel prossimo turno di riposo.
Arriviamo così al 27 maggio, la compagnia parte per il Monte Grappa, siamo in 139 soldati, 30 sono assegnati al carreggio proprio sotto il Grappa, questi 30 erano conducenti, cucinieri, 2 lavandai, un sarto, un calzolaio, un porta ordine etc. in totale una trentina di uomini addetti alla logistica.
Gli altri di buon mattino partono tutti per il Grappa, da Crespano saliamo (nessuno tranne gli ufficiali sapevano la nostra destinazione) carichi come muli. Non nego e credetemi quando arrivammo sopra sotto la Grande Cima del Monte Grappa eravamo veramente stanchi. Io fui assegnato con la nostra arma che era la 3ª sul colle dell'Orso punta più alta del Grappa dopo il Solarolo* la nostra postazione era a ridosso del Monte Solarolo.
Arrivammo in postazione alle 3 di mattina del 28 maggio il giorno del mio compleanno (compivo 19 anni) non avevo mai visto una postazione di prima linea e una trincea, c'era una galleria che passava la cima della montagna da parte a parte, avevamo quindi due uscite una verso il nemico e una al riparo della cresta dove ci sistemavamo alla bene meglio per riposare.
Una volta sistemati negli alloggi sul rovescio veniamo subito assegnati per un turno di vedetta, siamo io e Brambilla che nel frattempo è diventato un caro amico e il caporal maggiore Casiraghi, lombardo anche lui nato nelle vicinanze di Milano. Veniamo istruiti adeguatamente e ci viene assegnato il settore da controllare con la raccomandazione della massima attenzione.
Erano le tre del mattino io e Brambilla eravamo alla prima esperienza eravamo nervosi, vigili e attenti, ogni rumore ci faceva sobbalzare e ci sembrava un pericolo. I topi che giocavano con le scatolette non favorivano certo la nostra tranquillità e continuavano a metterci in allerta. In quel periodo dell'anno alle 3 di mattina c'è quasi l'alba e si inizia ad intravvedere un leggero chiarore. Brambilla, mi scuote dal torpore e mi sussurra: "guarda là c'è qualcuno vedi anche tu?". Strofino gli occhi e nella semi oscurità vedo una sagoma di un soldato che cercava di salire in mezzo ai reticolati, fucile in spalla e tascapane al collo. La mia prima reazione è quella di sparargli, impugno la pistola e sparo un colpo nella direzione della sagoma. Casiraghi sentito il colpo di pistola corre da noi domandandoci affannato "cosa succede? Cosa c'è?". Gli indichiamo l'uomo e lui ci risponde "lasciatelo venire" non sparate che alle volte per cose da poco succedono i guai. Lui era della classe del 96 o 97 era già stato altre volte in trincea era stato ferito e aveva un fratello morto in guerra in definitiva ci fidammo della sua esperienza. Presa in mano la situazione Casiraghi si sporse dalla postazione e fece segno a quell'uomo di venire avanti gli disse però di gettare il tascapane e il fucile. Probabilmente non capendo la lingua lui continuava a salire ma non butto né il fucile né il tascapane, il fucile lo teneva il spalla e quindi Casiraghi sempre tenendolo sotto tiro lo lasciò salire. Noi eravamo in ansia, ma Casiraghi continuava a dire di non aver paura e di farlo venire in quanto era un disertore Austriaco.
L'Austriaco una volta arrivato nella nostra postazione lo disarmammo e gli levammo il tascapane che era pieno di bombe e il fucile carico. Casiraghi lo prese e lo porto via presso il comando dove lo interrogarono.
Dopo un paio d'ore Casiraghi tornò presso di noi e ci disse che l'Austriaco aveva parlato di una grossa offensiva che gli Austro-Ungarici stavano preparando per il 15 giugno, addirittura disse l'ora esatta alle 3 del mattino sarebbe iniziato l'attacco su tutto il fronte. Disse che la Val Calcino subito sotto Il Solarolo e il Fontana Secca era spaventosamente piena di Austriaci e materiale per la preparazione dell'offensiva.
war memories certificate good Dopo aver ricevuto queste notizie non c'era sicuramente da stare allegri e così discutendo di questo fatto passarono anche le prime due ore di vedetta. Dopo questa novità il tempo passava il fronte era calmissimo, era tutto silenzioso non si sparava quasi mai ne loro ne noi, sembrava quasi che la guerra fosse finita, però il mio pensiero andava sempre su quella data il 15 giugno alle 3 di mattina, non so se gli altri avessero anche loro questo pensiero fisso ma io sì.
Passano i giorni e come tutte le cose arriva anche il 15 giugno. All'una del mattino monto di vedetta con Brambilla come tante altre volte, tutto silenzio un silenzio quasi irreale non sparava nessuno unica attività era qualche razzo che ogni tanto veniva lanciato dalle linee nemiche proprio sopra la nostra testa. Io mi rintanavo ad ogni lancio e rimanevo immobile, invece Brambilla come niente fosse si muoveva, stava in piedi, sembrava sfidare la morte. Lo richiamai più volte gli dicevo stai attento non farti vedere e lui con sarcasmo mi rispondeva "magari mi ammazzassero almeno mi ritroverei con i miei fratelli" mi aveva raccontato che aveva 4 fratelli morti in guerra e quindi la sua vita non la calcolava per niente, mai un sorriso era sempre triste.
Nella tensione più assoluta passano i minuti, passano le ore sono le 3 del mattino, chiamo il cambio, il cambio arriva subito puntuale. Come entriamo in galleria il fronte si accende come una lampadina in una stanza buia. Le mitragliatrici nemiche sparavano nella nostra trincea, i sacchi di terra di protezione venivano colpiti e sembrava si squagliassero come neve al sole. Eravamo appena entrati nella galleria che subito gli ufficiali cominciano a chiamare fuori, fuori. I soldati iniziano ad uscire dalla galleria e come arrivano sull'imbocco della galleria si sentivano delle urla, uscito l'ultimo prima di me un grido e poi niente, sembrava tutto finito, faccio per uscire, come arrivo presso l'uscita della galleria assieme a Brambilla mi sento prendere per una spalla era Casiraghi, aveva una mano sulla mia spalla e una su quella di Brambilla, ci fece segno di stare zitti e ci sussurrò chi esce è morto. Non c'è più nessuno dei nostri là fuori, era l'inferno esplosioni continue eravamo sotto il tiro serrato delle artiglierie, quelle nostre quelle loro non si capiva più niente solo un fuoco serrato di artiglieria le mitragliatrici tacevano non un colpo di fucile, la terra tremava esplosioni e scoppi continui, la galleria resisteva e le cannonate erano inefficaci, la galleria aveva due uscite e quindi ci sentivamo relativamente tranquilli.
Casiraghi ad un certo punto ci disse stiamo qui tranquilli se gli Austriaci entrano nella galleria con bella maniera ci arrendiamo e andiamo con loro, se entrano sparando spariamo anche noi e quello che sarà sarà, ora stiamo tranquilli viveri ne abbiamo da bere c'è né armi anche bombe a mano anche, siamo pronti aspettiamo che arrivino. Passano le ore e niente, non arriva nessuno, non entra nessuno nella caverna, a questo punto Casiraghi ci disse: "scommetto che noi siamo in mezzo ai due fuochi, qui dove siamo noi è casa di nessuno, se ci fosse della fanteria entrerebbero a ripararsi e a riposarsi, secondo me è in corso un grande duello di artiglieria e noi siamo proprio al centro del duello".
Così rimaniamo in attesa passa tutto il giorno 15, il giorno 16, la mattina del 17 Casiraghi ci dice: "state pronti andiamo appena albeggia, mai prigionieri, andiamo verso i nostri". E così armati di tutto quello che era disponibile al primissimo albeggiare usciamo dalla galleria reticolati non c'è n'erano più tutto era divelto e abbattuto dalle artiglierie, via di corsa senza fermarsi, attraversiamo a sbalzi il terreno martoriato ripiegando sulle nostre posizioni arretrate. Facciamo un bel po' di strada non so dire quanto intanto si è fatto giorno, ora abbiamo paura di essere visti ed intercettati dal nemico. Casiraghi sempre davanti a noi salta in un profondo buco di una cannonata dalle dimensioni sono sicuro fosse di un 305. Noi lo seguiamo credo volesse dirci qualcosa quando sentiamo un colpo simile ad una pietra che batte sopra un pezzo di legno duro. La faccia di Casiraghi diventa bianca, quel colpo gli aveva staccato un piede, l'osso della gamba era esposto, c'era solo un po' di pelle e un po' di nervi che tenevano il piede. Lo fasciamo e lo leghiamo per fermare l'emorragia e gli blocchiamo la gamba alla belle meglio.
Lo tiriamo fuori dal quell'immondo buco e cominciamo sorreggendolo a camminare lentamente verso dove pensavamo di trovare i nostri, oramai era giorno fatto, non sapevamo dove stavamo andando ma non avevamo paura, il pericolo non ci spaventava più dovevamo salvare Casiraghi, lui era stato più che un padre per noi dovevamo tirarci fuori tutti assieme da questa situazione.
Andiamo ancora avanti penso un'ora forse due, ed ecco ad un certo punto arriviamo sulla nostra linea, c'era una fila di "Arditi" posizionati senza trincee su ripari improvvisati, noto che erano tutti ubriachi. Come ci vedono stupiti ci chiedono "e voi da dove sbucate" scherzando non si erano accorti di Casiraghi. Appena si resero conto dello stato del nostro compagno fecero subito spazio e mandarono immediatamente a chiamare gli infermieri. Dopo poco arrivarono due infermieri che presero Casiraghi e lo portarono via.
Casiraghi è così partito senza poterci e poterlo salutare e dirsi addio senza poterlo ringraziare di quanto aveva fatto per noi, è partito come una valigia solo due lacrime che ora come allora non riesco a trattenere, spero sia guarito, è rimasto sempre nel mio cuore, non l'ho più visto mi auguro sia ancora vivo e che abbia avuto una vita felice.
Questo fu il nostro destino, rimanemmo io e Brambilla soli, la nostra guida non c'era più ci guardammo senza parole solo la nostra tristezza ci accompagnava, pian piano con il cuore pesante senza attirare l'attenzione di tutti quegli ubriaconi ci incamminammo verso la nostra fureria, pensavamo forse là ci sarà qualcuno dei nostri. Camminavo, Brambilla mi seguiva, dopo mezz'ora come se fosse uscito dal castello incantato vediamo il nostro sotto tenente comandante della nostra arma... ci guarda per un po' nessuno parla e poi con voce roca ci dice: "sono contento di vedervi" ci abbraccia e poi dice "Viano sei rimasto solo 8 piemontesi ho visto arrivare e solo tu sei sopravvissuto" mi vennero le lacrime agli occhi e disse ancora "ragazzi siamo stati completamente distrutti, degli ufficiali sono rimasto solo io e ho preso il comando di questa compagnia di bersaglieri che era rimasta senza ufficiali. Ora andate in fureria e se trovate qualcuno aspettatemi là, appena mi arriva il cambio ritorno da voi. Prese una bottiglia di brandy e bevemmo assieme, per quanto mi sforzo non ricordo il nome di quel bravissimo ufficiale era della classe del 95, veramente un ottimo ufficiale. In fureria trovammo il furiere aspettammo il tenente che arrivò e quindi eravamo in 4, quattro su 110 arrivati in linea. Siamo rimasti solo in 4 la compagnia era stata annientata.
Dopo qualche giorno il tenente giù al carreggio raccolse altri 16 uomini che unirono alla nostra squadra e ci diedero un'arma nuova di zecca, così nuovamente armati ci inviarono sotto il Solarolo punto più alto del Grappa*. Il Solarolo era in mani nemiche e quindi gli Austriaci erano in posizione dominante, la nostra trincea e la nostra postazione era appena sotto la cresta di vetta e quindi dovevamo sempre stare riparati e coperti. La nostra posizione di mitragliatrice incavernata faceva tiro diretto sulle postazioni austriache ma la fanteria che a più riprese assaltava il monte doveva salire verso le mitragliatrici austriache subendo perdite spaventose.
Finalmente dopo tanti assalti il Solarolo è stato catturato e fortificato cosi non eravamo più sotto il tiro diretto Austriaco e si poteva stare più tranquilli in trincea. Arrivò il 16 luglio arriva il cambio, scendiamo a valle per il riposo e il comandante della compagnia mi diede la licenza che mi aveva promesso un mese prima. Felice per la promessa mantenuta e con in tasca la mia licenza volo a Bassano, lì prendo il treno, nel treno c'erano delle donne che mi guardavano e piangevano, mi offrirono il loro posto a sedere e io naturalmente gentilmente rifiutai. Mi sistemai per terra col tascapane sotto la testa e così rilassato dopo tante vicende dormii, non so per quanto, non so quanto durò il viaggio la stanchezza ebbe il sopravvento e mi sveglia quando il treno arrivò a destinazione. Dopo tanto tempo arrivo a casa finalmente Valdivilla per la prima volta da quando ero partito ero talmente sconvolto che penso di non aver raccontato nulla su quanto accaduto in Grappa e così passò la mia licenza, torno al reparto che trovo a riposo in un paese ai piedi del Grappa (non ricordo il nome). La compagnia era stata completamente ricostituita, eravamo ancora una volta in 140 la maggior parte gente anziana dai lunghi baffi. Era tutto diverso mi comunicano che Brambilla ed io eravamo stati promossi caporali, mi stupii e pensai chissà che caporali saremmo? il nostro ufficiale era stato promosso anche lui a tenente, gli altri ufficiali erano tutti nuovi, tutte brave persone. Tormentato dalla curiosità un giorno chiedo al tenente da dove venissero tutti questi nuovi rincalzi e lui ridendo mi disse "dalle parti di Brescia", uomini duri poco rispettosi, ma sostanzialmente brave persone. Il comandante della compagnia era un uomo molto severo ed esigeva disciplina, era sempre stato molto severo nei loro confronti. Un giorno gli disse di rispettare di più i loro compagni in compagnia e che se non l'avessero fatto li avrebbe fatti pentire.
Terminato il riposo inviarono la nostra compagnia sul Monte Pallone, il Monte Pallone sovrasta e si collega al monte Tomba creando un fronte che scende fino al Piave. Li siamo stati 30 giorni in posizione altamente fortificata ed in effetti non abbiamo subito alcuna perdita. Arriva ottobre e la nostra compagnia scende ancora una volta per il consueto riposo in un paese vicino al Piave. La truppa parla di offensiva, giravano dei biglietti che comunicavano che il nemico era sfinito e affamato, questo ci faceva ben sperare nella fine della guerra e nella nostra vittoria.
Ed ecco comincia l'offensiva, la nostra compagnia era pronta aspettavamo solo l'ordine di partire. Le nostre truppe avevano assaltato il Piave, noi eravamo di rincalzo e dovevamo partire subito. La nostra destinazione era il ponte della Priula dove dovevamo passare il Piave. Arrivate presso il ponte di barche, attendiamo passa un reggimento di Fanteria e un reparto di artiglieria Inglese, dopo di loro dovevamo passare noi e invece all'improvviso arrivano degli aerei nemici e distruggono il ponte. Ci fermiamo ed aspettiamo 2 giorni per effettuare le riparazioni e finalmente attraversiamo il ponte ci dirigiamo verso Conegliano. Abbiamo raggiunto i reparti di prima linea a Conegliano, li sentiamo le ultime cannonate della guerra ormai il nemico è in disfatta, inseguiamo gli Austriaci fino a San Daniele del Friuli, a san Daniele il ponte era stato distrutto, guadiamo il fiume tenendosi per mano, la corrente era forte ma ci siamo riusciti. Tutto il paese ci stava aspettando, parroco, sindaco e tutta la popolazione del paese, siamo stati ricevuti al suono delle campane e al grido di "benedetti italiani". Siamo stati rifocillati con il poco che avevano nascosto agli austriaci, ci hanno fatto la polente e dato una tazza di vino molto buono che era stato nascosto sotto terra.
Qui a San Daniele ci è giunta la notizia che la guerra era finita, era stato firmato l'armistizio. Riposiamo un paio di giorni e poi partiamo ancora attraversiamo sempre campagna, poi il terreno cambia e saliamo, siamo su un alto piano che diventa collina e poi montagna. In quei luoghi abbiamo patito anche un po' di fame finché raggiungemmo il Monte Stol che confina con la conca di Plezzo. Erano le 4 del pomeriggio ci ordinano di mettere le armi in posizione e di riposare. Il buio arriva presto e si fa scuro sulla conca di Plezzo, si guardava il cielo stellato, si guardava giù ma non si vedeva niente. Il comandante a questo punto manda una pattuglia in ricognizione, la pattuglia trova un reparto di Austriaci che si facevano il caffè e cucinavano qualcosa da mangiare. Passiamo la notte tranquilla e il giorno dopo il comandante con una squadra va giù a parlamentare. Il comandante intima gli Austriaci ad andarsene immediatamente o a deporre le armi ed arrendersi e gli da 24 ore di tempo. Il giorno dopo erano ancora tutti là, si stavano organizzando per partire, erano tanti impiegarono una settimana ad andarsene definitivamente in quanto c'era solamente un strada per defluire. Ecco questo fu l'ultimo contatto con il nemico. Ci fermammo a Plezzo per un paio di settimane. Arrivano i camion e trasportano la compagnia a Gorizia. Da Gorizia dopo un paio di giorni si parte ancora destinazione quota 1003 sui confini della Serbia, così almeno ci hanno detto il confine credo fosse il fiume Drava. Le montagne non erano spoglie anzi erano molto rigogliose, in questi luoghi bisognava stare molto attenti, la popolazione era ostile ci muovevamo sempre armati e non uscivamo mai da soli. In questa zona dove la popolazione locale non ci voleva siamo stati per diversi giorni senza inconvenienti finché un giorno partiamo per Gorizia, ci conducono a Cormons li ci sistemiamo e attendiamo. Ci giunge voce che la compagnia sarebbe a breve stata sciolta e che saremmo stati inviati a Trieste. Quella stessa mattina prendo il rancio una gavetta piena di brodo bollente che mi casca su un piede, scottatura di secondo grado. Mi portano in infermeria di presidio a Cormons e mi comunicano che ci vogliono 10 giorni per guarire. La ferita si infetta e quindi anziché guarire in 10 giorni mi ci vogliono 5 settimane.
Quando esco dall'infermeria mi sono ritrovato solo, non sapevo dove andare, nessuno mi voleva la compagnia era stata sciolta al comando militare di Cormons mi dissero di arrangiarmi e di fare quello che volevo. Quindi decido di andare a Brescia li c'era il deposito dei mitraglieri e quindi pian piano arrivo a Brescia. Vado alla compagnia deposito e il furiere mi consegna delle coperte e mi dice di cercarmi un posto per dormire. C'erano tante brande vuote ne prendo una e mi sistemo, anarchia completa tutti facevano quello che volevano dopo il rancio si usciva e si rientrava quando si voleva, tutto sommato sarebbe stata una bella vita se si avesse avuto qualche lira in tasca. Dopo una settimana di inedia parlo con il furiere e gli esprimo la mia volontà di andarmene, sono stufo di girare a vuoto senza soldi e di guardare chi ha la testa più grossa. Lui si mette a ridere e mi dice se vuoi andare vai pure, non ti ho ancora preso in forza dunque potresti tranquillamente andare da qualche altra parte. Rendetevi conto che confusione esisteva in quei mesi post guerra. Parto nuovamente e me ne vado a casa, tanto ho capito che nessuno mi vuole. Arrivo a casa il giorno dopo in treno e mi chiedono se sono andato a firmare la licenza dal maresciallo dei Carabinieri. Naturalmente non avendo la licenza rimandavo all'indomani. Dopo qualche giorno i miei genitori ad un certo punto mi dissero ma allora c'è l'hai questa licenza o no?. Arrabbiato perché sembrava che anche a casa non mi volessero partii nuovamente questa volta per Vercelli. Arrivo a Vercelli e mi reco al comando, mi danno 60 lire di trasferta e i 10 giorni di riposo che mi avevano dato all'infermeria di Cormons convertiti in licenza. Riprendo il treno e il giorno dopo sono nuovamente a casa questa volta con la licenza che porto subito a firmare.
Finita la licenza torno alla compagnia deposito e chiedo la licenza invernale 15 gg + viaggio. Me la concedono e quindi riparto subito e torno nuovamente a casa. Finita anche questa licenza porto una bottiglia al furiere e lui per ringraziarmi mi chiede se ho fatto la licenza estiva, gli dico di no e lui me la concede immediatamente. Il sabato successivo riparto in licenza così su 50 giorni ne ho fatto 35 di licenza. Nel frattempo congedano lo scaglione del 97.
Il furiere mi dice che gli manca un caporale in cucina e mi chiede se voglio andarci, in cucina si sta bene mi dice. Io ho delle perplessità "non so cucinare che vado a fare in cucina" lui mi tranquillizza e mi spiega che in cucina ci sono già i cuochi io dovrei solo consegnare i cibi e fare la spesa e lavori del genere. Tranquillizzato accetto e così divento caporale di cucina e con questo incarico sono arrivato al congedo.
Riassumendo nell'ultimo anno di soldato ho fatto più casa che caserma, il furiere mi dava sempre degli ottimi consigli "se qualcuno ti domanda come mai sei sempre a casa rispondi che la mamma è ammalata" e così quindi in tranquillità sono arrivato al congedo dopo 44 mesi e 24 giorni.
Che devo dirvi, la morte non mi ha voluto allora, è sempre stato un susseguirsi di avvenimenti a mio favore ho trovato tante persone che mi hanno aiutato, a ripensarci mi sembra quasi impossibile che tutti questi eventi positivi siano sempre successi a me, eppure la vita e il destino è così, è per questo motivo che voglio lasciare questo scritto per testimoniare questi avvenimenti e ricordare Brambilla e Casiraghi e quel tenente che di cui non ricordo il nome, mi auguro siano ancora vivi.
Tutto quello che avete letto è tutto vero e vi dico la verità, ho pianto tantissimo nello scrivere queste righe, mi sentivo in dovere di scriverle, mi interrompevo continuamente mentre scrivevo perché le lacrime mi offuscavano la vista. Nonostante le lacrime sento che lo scrivere questi momenti mi ha fatto bene, il ricordare tutti quegli amici che furono così buoni con me era dovuto. La tristezza che mi pesa nel cuore è il non averli potuti salutare, ci siamo lasciati senza un abbraccio senza un addio, questo è stato il destino della vita.
Cari tutti voi che leggerete questi miei intimi ricordi non pensate che io abbia una memoria di ferro, le scrivo dopo tanti anni, ci sono tante cose che mi sono dimenticato di quel lungo periodo della mia vita, ma questi ricordi sono rimasti vivi nella mia memoria e ho scritto tutto ciò che ricordavo. Il manoscritto lo so è pieno di errori ma credo che riuscirete a comprendere lo stesso il senso. Se vi ho annoiato con questa lettura scusatemi, qui da noi in questo periodo piove sempre e quindi colto l'occasione per passare un po' di tempo scrivendo. Le scrivo perché qui dove vivo da tanti anni quando racconto qualcosa della guerra non mi ascoltano nemmeno, pensano che siano tutte cose inventate, raccontante tanto per ridere.

*Viano Giuseppe qui ha fatto un po' di confusione con le quote, si il monte Solarolo è più alto del Col dell'Orso, ma non è la cima maggior del Grappa in quanto la cima maggiore è appunto Cima Grappa, Col dell'Orso e il Monte Solarolo sono due cime della dorsale che partendo da Cima Grappa scende verso nord.

Manoscritto originario del Caporale Viano Giuseppe